La società che non viene illuminata dai pensatori, finisce ingannata dai ciarlatani - de Condorcet
24 dicembre 2020
08 novembre 2020
Aggiornamento
18 settembre 2020
Incroci
Casualmente, nel marasma di foto che ogni giorno internet ci vomita addosso, incrocio l'immagine di una giovane, splendida dea nel giorno del suo diciottesimo compleanno: abiti da sera esaltano corpi adolescenti, sguardi luminosi seguono il filo di eventi che lasceranno tracce indelebili nella loro memoria. Nei loro ricordi, saranno stati ancora più belli e ancora più felici.
Immediatamente ripenso alla mia festa per i miei diciotto anni: il mio sguardo segue le tracce indelebili che quegli eventi lontani hanno lasciato nella mia memoria e mi rivedo giovane dea circondata da amici altrettanto belli, altrettanto felici (sorry per la rima, è capitata per caso, la lascio anche se non mi piace...)
Tristemente penso al compleanno di mio figlio: il 2 aprile di quest'anno eravamo in lockdown da un paio di settimane, tutti mediamente in uno stato di shock che si è alleggerito solo verso giugno. L'unica festa possibile: una cheesecake, riuscita troppo ricca nel goffo tentativo di risarcirlo di una perdita che non sarà mai veramente risarcita. Era un desiderio più mio che suo e lui non sente la mancanza di qualcosa che non ha mai neppure veramente desiderato.
A me però spiace.
(Come "incrocio" è molto tirato per i capelli, ma di più non sono riuscita a fare...)
29 luglio 2020
Capotavola e Capo Tavola
16 luglio 2020
Il Libro del Mese - Orgoglio e Pregiudizio
13 luglio 2020
Le cose che ho perso, le cose che ho preso
28 giugno 2020
La stessa acqua calda che rassoda un uovo ammorbidisce le patate
Tasse
25 giugno 2020
Un altro now and then
"So che non ce la faccio. uscire di casa mi pesa, le giornate passano senza che io faccia niente, non mi annoio più neanche... mi basta stare qui. anche i ragazzi che tornano da scuola mi infastidiscono perchè parlano e raccontano e io voglio silenzio..."
Non le ho mai pubblicate, conservo in bozza alcuni post che ho scritto, magari anche con l'intenzione di pubblicarli ma poi lasciati lì a sedimentare, fino a dimenticarli. Fino a oggi.
Sembra incredibile che abbia potuto pensare e scrivere questo, non ricordo più neppure le sensazioni che provavo. Il resto del post è ancora più depresso... come sono sopravvissuta? E cos'è cambiato da allora?
Ho lavorato, basta come risposta? Non lo so. Però so che quest'anno ho costruito, ho fatto progetti, alcuni dei quali sembrano essere sulla strada buona per dare qualche frutto.
E quindi, cosa voglio dire con questo? Niente, forse solo registrare "il rimbalzo" che si è verificato dopo aver toccato il fondo.
Già, mettiamola così: chi non cede rimbalza.
PS: credo di aver scritto raramente così male, è uscito così e così lo pubblico. Abbiate pazienza, sono stanca. Se non è chiaro, chiedete...
12 giugno 2020
Now and then...
"Now", che roba è?
"Now" è il momento di un "pat on the shoulder" come si dice da queste parti, perchè riconoscere le proprie qualità è una parte importante del processo di crescita di ognuno. E, se è vero per i miei figli, deve essere vero anche per me.
L'episodio che ho raccontato nel "then-post" è vero e mi ricordo ancora quella sensazione, come di un corpo che, contro la mia volontà, riacquista tutto il suo peso fino a affondare in una melma di fango soffocante. Risale a molti anni prima ma, evidentemente, nel duemilaquindici l'incubo era ancora vivo e presente. La Francia mi ha fatto bene solo quando me ne sono allontanata... eppure ancora oggi, se mi chiedessero in quale città vorrei vivere direi Strasburgo.
Sono partita tante volte e tutte le volte sono stata capace di puntare la bussola e ripartire: quando da bambina siamo tornati a Lodi da Milano (la più terrificante esperienza della mia infanzia, non sono ancora riuscita a perdonare del tutto i miei genitori...); la Francia, che mi ha lasciato alcune conoscenze, il sogno di una nuova professione e una buona amica; l'Italia di nuovo, che più che un rientro è stata una nuova partenza, con il sogno di una nuova professione diventato via via più concreto, con un corso, il suo esame, un nuovo titolo di studio, il tirocinio, nuovi colleghi e nuove amicizie; ora l'UK, una lingua nuova, l'insegnamento dell'italiano, nuove conoscenze diventate carissime amiche (alcune, altre... va be'... lasciamo perdere!), la melma (ancora lei...) di tre anni fa trasformatasi (lentamente, è vero, ma ce l'ho fatta) in una nuova vita con nuove esperienze e non tutte negative. Diversa, la mia nuova vita, ma non male. Non male soprattutto perchè quello che ho costruito qui, poco o tanto che sia, è tutta e solo farina del mio sacco.
Salva dalla melma in eterno? No, ma quando mai? Se c'è una cosa che mi è diventata assolutamente chiara nel corso della mia esistenza è che niente è per sempre.
Col naso fuori per ora e per ora mi basta così.
Nota: "Nessuno si salva da solo" dovrebbe essere inciso su una medaglietta da consegnare ad ogni nuovo nato. Nessuno fa niente da solo, abbiamo numerosi debiti di gratitudine nei confronti di persone che talvolta neppure lo sanno. Quando dico che ciò che ho è farina del mio sacco non intendo assolutamente dire di aver fatto tutto da sola: sarò eternamente grata a chi mi ha dato una mano, talvolta inconsapevolmente, altre volte deliberatamente.
22 maggio 2020
Scrivere
Scrivere per sopravvivere al tempo, per non perdere la memoria, per esserci ancora quando non ci sarò più.
Scrivere per fissare le idee, per capire meglio il mondo, per non lasciare che tutto scorra senza lasciare traccia.
Scrivere per guardarmi dentro, per capire meglio me stessa, per non pensare, dopo, di non averci provato abbastanza.
Scrivere per non dimenticare di comprare le uova, per ritrovare un numero di telefono, per non saltare un appuntamento.
Scrivere per tenere in esercizio la mano, con una stilografica e non una biro, curando il gesto per non lasciare sbavature e lasciare invece un segno bello sul foglio bianco.
Scrivere perchè ho sempre sognato di scrivere un libro, così come di dipingere acquerelli delicati e di scattare foto significative, ma niente di tutto ciò ho desiderato abbastanza da farlo diventare vero.
Scrivere perchè rilassa la mente, distoglie dal mondo fuori e dà senso al mondo dentro.
Senso e importanza.
E tempo.
13 maggio 2020
Silvie
C'è anche la Silvia che ha fatto il liceo con me. Qualche anno fa suo marito è stato rapito in Africa. Liberato dopo qualche mese, al rientro a casa ha subito lo stesso assalto da parte dei giornalisti. Alla domanda "Tornerai là?" ha risposto serio "Ho una famiglia da mantenere e il mio lavoro è là, certo che torno". Nessuna polemica, nessuna coda.
Poi c'è la Silvia che ho conosciuto nel 2016. Insegna italiano agli immigrati e, adesso che con l'isolamento le scuole sono chiuse, fa volontariato alla Croce Rossa e alla mensa per i poveri della mia città. Non si ferma mai, ha sempre un'idea brillante per incoraggiare e dare un senso, ha sempre una parola buona per tutti, non giudica, "vola basso" e, senza saperlo, fa grandi cose rendendo migliore la vita delle persone.
Per completezza, c'è infine la Silvia mia cugina, che conosco poco perchè non ci siamo mai frequentate ma rimedieremo perchè mi piace. E' ironica, intelligente, simpatica. Legge bene, beve bene, ascolta bene, viaggia bene. Ha il coraggio da vendere e vive al mare. Le invidio il panorama dal balcone del suo soggiorno, penso di averglielo detto quelle 3 o 4 dozzine di volte.
08 maggio 2020
Rumore bianco
C'è sempre questo costante brusio di sottofondo, conversazioni "fluffy" e cose non vere ripetute a pappagallo da gente che non vuole prendersi un attimo di tempo per pensare con la propria testa e verificare una fonte, giornalisti che "sbagliano" una traduzione, che "dimenticano" una citazione, che "distrattamente" tagliano un discorso stravolgendone il senso.
C'è sempre questa eterna ricerca di approvazione dall'estero, per cui De Luca riferisce garrulo che gli americani hanno detto che il suo ospedale è il migliore del mondo, Conte si vanta di aver parlato mezz'ora con Bill Gates e non-so-più-chi dice che dall'estero guardano con invidia al modello italiano di lockdown: guardateci, ci siamo anche noi, bambini quasi invisibili ai quali una maestra ricorda ogni tanto di fare un sorriso.
Chiacchericci senza costrutto, vuoti di contenuti, conversazioni da bar.
Rumore bianco, così confortante... vera valeriana per la mente
06 maggio 2020
Itanglish
Non si dice "stage", quello è il palcoscenico. Si dice "work experience" o "internship".
Non si dice "romance", si dice "novel" oppure talvolta "fiction" in contrapposizione a "non-fiction" che sono i saggi o i libri di inchiesta. Ma 'sta storia del "romance" che è il romanzo rosa lo sapevo già...
E, ovviamente, non si dice "fiction", le serie tv si chiamano "series".
Non si dice "body", si dice "leotard", parola buffissima che a me farà sempre pensare a elegantissimi e velocissimi gatti;-)
Non si chiama "scotch" ma "tape"... questa la dimentico sempre!
Occhio col "footing", a qualche orecchio particolarmente pudico potrebbe richiamare passioni poco ortodosse!
E non si dice neppure "autostop", ma un impossibile "hitchhiking": l'ho scoperto leggendo la storia di un tizio che si è portato a spasso un frigorifero!
Però si dice goodnight, che significa davvero buonanotte... vado che è tardi!
Fate bei sogni
xxx
01 maggio 2020
Il libro del mese - Un incantevole Aprile
27 aprile 2020
poivorrei
26 aprile 2020
Non è vita
21 aprile 2020
Ricordi di viaggio
17 aprile 2020
Disclaimer
Io non sono una persona generosa.
Ammiro incondizionatamente quelle persone che, con semplicità, sono capaci di donare il loro ultimo barattolo di marmellata alla vicina di casa che deve fare una torta o due delle loro quattro preziose mascherine utili a limitare il rischio di contagio in questi giorni difficili oppure una bustina di lievito per fare il pane, rendendo meno pesante l'isolamento. Io invece penso sempre troppo: cosa vuoi che sia un barattolo di marmellata, magari si offende; cosa vuoi che se ne faccia di due mascherine chirurgiche che proteggono solo nei giorni pari di luna piena e se non tira vento; cosa vuoi che sia una bustina di lievito secco e poi abito lontano e non si può uscire dal comune...
Non è egoismo, è una cosa diversa: è la totale incapacità di capire che nessun aiuto è tanto piccolo da non essere il benvenuto: un barattolo di marmellata salva una torta, una bustina di lievito significa una pizza per 4, e due mascherine, anche se solo chirurgiche, possono ridurre l'ansia di una persona in difficoltà, anche se magari solo un po'...
Si dice che le persone meno ricche siano le più generose; forse dipende dal fatto che conoscono il valore di una tazzina di zucchero.
Nessuno di noi è perfetto, lo so. Ma ci sono forme di imperfezione peggiori di altre e questa è brutta.
15 aprile 2020
Senza titolo...
13 aprile 2020
Meccanismi delicati
10 aprile 2020
Spesa
La prima cosa a sparire è stata l'Amuchina, che qui non si chiama Amuchina, ma ci siamo capiti, e con lei tutta la serie di disinfettanti per mani-tessuti-superfici. L'alcol non si è mai trovato, la candeggina è scomparsa, la linea Dettol idem.
Immediatamente dopo, sono scomparsi articoli tipo la carta igienica, la pasta e il riso, il latte a lunga conservazione, i legumi in scatola.
Poi farine, tutte, e il lievito di birra da panificazione.
Ma il pane si trova, si è sempre trovato... perchè fare incetta di farine e lievito da panificazione?
Fino al giorno prima, impastare era cosa di fissati o, nel mio caso, da stereotipata massaia italiana. Il timore causato dal Covid e dall'isolamento ha creato il panico anche nel tradizionalmente composto britannico medio (che sia uno stereotipo anche questo?) che ha provveduto a fare scorte alimentari degne dello scoppio della guerra.
Non che sia molto diversa da una guerra, questa situazione!
La responsabile del "British Retail Consortium" la settimana scorsa ha comunicato ai quotidiani che le famiglie inglesi avevano in casa scorte alimentari per un miliardo di sterline... un miliardo!!!
La paura fa 90!
Oggi, dopo aver trovato tre bustine di lievito, ho chiamato le mie amiche per comunicare lo straordinario evento.
Già mi vedevo a offrirne una in cambio di un pacco di farina!!!
09 aprile 2020
Sull'identità dei migranti
Questo mi ha fatto riflettere su un mio studente.
Si chiama L. G., ha circa 55 anni ed è un "immigrato" di IV generazione, essendo l'erede di un tale L. G. arrivato a Manchester 134 anni fa, nel 1886.
Per me è stupefacente che lui si senta italiano.
Per lui è incomprensibile che i suoi lontanissimi parenti italiani, che ancora frequenta in estate, lo considerino inglese.
Non so, perchè non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo, se i suoi amici e conoscenti di qui lo considerino italiano o inglese, è questo un tassello che mi manca.
Ho già avuto modo di riflettere su questo aspetto, su fatto cioè che l'identità percepita da un emigrante non coincida affatto con ciò che "vedono" i compaesani rimasti nel Paese d'origine: ancora in tempi non sospetti, quando Real Time mi offriva occasioni di relax durante la pausa caffè pomeridiana, Buddy il re delle torte parlava di se stesso come di un italiano vero, mentre cucinava improbabili paste molto american-style e trattava le sue sorelle come nessun fratello avrebbe mai osato neppure nell'entroterra siciliano anni '50: aveva appreso modelli di comportamento (e ricette di cucina) che credeva italiani ma non lo erano. Oppure quando, subito dopo la maturità, conobbi la cugina nata nella Svizzera tedesca di una mia compagna di liceo. Questa cugina aveva imparato a parlare "italiano" da una nonna che in realtà parlava solo un dialetto marchigiano stretto... si è scontrata in quell'occasione con la realtà: la sua presunta identità italiana era una cosa falsa, come le paste di Buddy e il senso di appartenenza di L. G. O ancora, ai tempi del Poli conobbi il figlio di un diplomatico che si era trasferito a Milano da poco, avendo vissuto in una mezza dozzina di Paesi e avendo studiato, negli anni tra la fine delle superiori e l'inizio dell'università, in Spagna. Parlava un italiano che sarebbe stato considerato buono se lui fosse stato spagnolo. E parlava uno spagnolo di buon livello per uno straniero ma non per un madrelingua. Parlava un eccellente inglese ma, non avendo genitori inglesi, non la considerava una "sua" lingua. "Io non ho un madrelingua" mi diceva. Io lo consideravo un falso problema e, anzi, capra come sono con le lingue, un po' lo invidiavo. Adesso capisco che il suo non era un problema di lingua, era un problema di identità: spagnolo in Italia, italiano in Spagna, a casa in nessun luogo.
Non è una riflessione che porta a conclusioni, non ne ho la pretesa: per chi lo vive è un problema complesso.
A me basterebbe capire come aiutare L.G. a superare la sua paura di commettere errori e, finalmente, parlare italiano.
Senza titolo
02 aprile 2020
18
Il salto di specie
Con "salto di specie" si pensa ormai al coronavirus, che, balzellon balzelloni, è trasmigrato dal pipistrello all'umanità. Ma questo evento mi ha indotta a pensare a quanti "salti di specie" facciamo nel corso della nostra vita, solo a volte segnati da tragedie.
Diventare genitori, ad esempio, sposarsi o divorziare, lavorare o perdere il lavoro... ogni cambiamento di condizione ci obbliga a cambiare l'idea che abbiamo di noi stessi e il suggerimento di comune buonsenso -tu non sei il tuo lavoro, non sei i tuoi figli o il tuo ex marito, tu sei altro- in realtà si scontra con l'evidenza del cambiamento dello sguardo del mondo su di noi. Sguardo che ci descrive molto più di quanto vogliamo ammettere.
Ora, cosa resta di noi quando "saltiamo"? Le diverse specie si stratificano e lasciano intravedere in trasparenza cosa c'è sotto, cosa c'era prima? Oppure noi crediamo di essere sempre noi, sempre uguali e invece la nuova natura sostituisce la vecchia?
Ovviamente non lo so: se lo sapessi non starei scrivendo...
Anche questa novità dell'isolamento causa un "salto di specie": da persona desiderosa di una vita fuori casa e indipendente dalla mia famiglia, mi sto trasformando in una persona spaventata dal mondo oltre la porta di casa. Non tutte le mie passate "specie" mi sono piaciute, alcune erano proprio fastidiose, ma sapevo che sarebbero passate. O meglio: confidavo nel fatto che, se mi fossi data da fare, avrei potuto sperare di saltare di nuovo. Stavolta, per la prima volta, la fiducia lascia spazio a un senso di incredulo, rassegnato stupore.
27 marzo 2020
Coi piedi per terra
Dormo male e la prima cosa che faccio al risveglio è controllare su giornale se il CV sia stato un brutto sogno, e non lo è mai, puzzola!
Oggi un aereo ha sorvolato per circa tre ore stamattina 'sto buco di paese, il giornale ha annunciato che il "garante della privacy" locale ha dato parere positivo all'ipotesi di utilizzare i cellulari per controllare gli spostamenti dei cittadini, la polizia aiutava il personale del mio supermercato a gestire la coda degli ingressi, sono stati contati 2885 nuovi contagi e il governo ha chiarito che con "sport all'aperto" si intende al massimo la corsetta attorno all'isolato, non l'escursione di 8 ore sul Peak District.
Sarò pessimista, ma il lockdown durerà fino a quando non sarà trovata una cura efficace, se non addirittura un vaccino. Altro che 3 settimane.
Stay safe
25 marzo 2020
...peccato di ubris
Però, prima di chiedere spiegazioni all'amica con la quale stavo chiacchierando, ho pensato di fare una veloce googolata e ho scoperto che il "peccato di hybris" (secondo una grafia più aderente all'originale) "è un topos (tema ricorrente) della tragedia greca e della letteratura greca, presente anche nella Poetica di Aristotele. Significa letteralmente "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione". Si riferisce in generale a un'azione ingiusta o empia avvenuta nel passato, che produce conseguenze negative su persone ed eventi del presente." (cit. https://it.wikipedia.org/wiki/Hybris banalmente wikipedia, non me ne vogliano i puristi)
Così è: sono ignorante.
Ma.
Ma, chiacchierando con un'amica che so avere fatto studi diversi dai miei, io non mi sognerei di fare riferimento al momento di inerzia o allo strato liminare senza domandarmi se sia proprio necessario. E' una questione di contesto. Lavorando alla preparazione di una gara di lettura per le scuole medie con questa stessa amica e alcune sue colleghe, tutte prof di lettere e tutte laureate in lettere, una di loro ha detto "Adesso dobbiamo ragionare di fabula e intreccio". Io, ovviamente, non ho capito e ho chiesto spiegazioni, che mi sono state date velocemente e velocemente abbiamo ripreso i lavori. In quel contesto, l'uso di un linguaggio tecnico consente a tutti i partecipanti di capire velocemente e velocemente rispondere alle esigenze dell'incontro. Io, da outsider, ho avuto bisogno di chiarimenti ma era "colpa" mia, non loro.
Se però si sta chiacchierando amabilmente fra amiche su coronavirus e responsabilità che la politica ha riguardo al mancato (o imperfetto) contenimento dell'epidemia, un vocabolario così specialistico e non necessariamente correlato al tema è, a mio parere, fuori luogo. Serve a alzare il tono della conversazione? Serve a mostrare la proprio superiore cultura? E' un modo di dire comune del quale io non sono a conoscenza?
Già Manzoni, facendo dire a Renzo "...che vuol ch'io faccia del suo latinorum?", metteva in guardia la gente che ha fatto le "scuole alte" (cit. la mia ex segretaria) dall'abuso di vocabolario fuori contesto. Nel caso del latinorum, scopo di don Abbondio era intimidire il povero Renzo rimettendolo al suo posto.
Nel caso dell'ubris?
PS: Conosco SC da 37 anni e non ho creduto per un sono istante che lei abbia voluto in qualche modo farmi pesare la sua diversa cultura. Ha semplicemente usato una parola che lei conosce e io no.
19 marzo 2020
La scuola al tempo del coronavirus
Niente.
Tommy, invece, come tutti gli studenti del suo anno nel bel mezzo di una settimana di esami, ha ascoltato la conferenza stampa del primo ministro, incredulo. Scuola finita e, soprattutto, A-levels cancellati. Niente maturità.
Passato il primo momento di sbalordimento e superato lo sconcerto resta adesso da affrontare l'incertezza: non sanno ancora, infatti, come saranno valutati e come questo influenzerà le ammissioni all'università.
Fin qui le conseguenze pratiche.
E il resto?
Non conosco nessuno che non ricordi vividamente l'esame di maturità. Che sia un trionfo o un fallimento, è comunque e per tutti un rito di passaggio: il liceo è ancora "scuola", con i suoi ritmi decisi dai professori, la lunga teoria dei compiti a casa, delle verifiche e delle interrogazioni in classe, scrutini, pagelle e gite scolastiche. Dopo la maturità, l'università o, addirittura, il mondo del lavoro esigono che ciascuno di noi si prenda le proprie responsabilità. Non più adolescenti, quindi, adulti.
Maturi, per l'appunto.
Ogni fase della vita è definita da un rito, che sia religioso o civile.
Ricordo quando io e mio marito siamo andati a vivere insieme. Non eravamo ancora sposati, e quando quella sera è venuto a prendermi con l'auto carica dei suoi bagagli, il suo cuscino sul sedile di dietro, i miei genitori dietro il cancello ormai chiuso di casa loro, abbracciati. Ho pianto.
Non credo che Tommaso piangerà, adesso per esempio lo sento ridere dal piano di sopra perchè, in chat con i suoi amici, sta organizzando qualcosa per domani mattina, quando si saluteranno, studenti e professori, in questo anticipato ultimo giorno di scuola. Ma questo pezzo gli mancherà per sempre .
E' solo un piccolissimo, insignificante dettaglio in questa immane tragedia che sta sconvoglendo il mondo e non ne sto certo facendo un dramma. E' solo una conseguenza senza nessuna importanza.
Fatti un giro nelle mie scarpe
I miei litigano poco, ma ogni tanto capita. Qualche giorno fa, Matilde, dopo una di queste rare discussioni, mi ha comunicato felice che lei e Tommy hanno deciso di "scambiarsi le passioni", così da provare a capirsi meglio. Lui si è impegnato ad ascoltare una play list di canzoni dei BTS, boy band di K-Pop, 7 ragazzi(ni) coreani che ballano come se da questo dipendesse il futuro del mondo. Stiamo parlando di questa roba qui. Matilde, in cambio, si dedicherà ad approfondire la fenomenologia di Pewdiepie (leggasi piudipai), ovvero il suo sguardo su Minecraft, gioco che appassiona Tommaso dai tempi della Francia, parliamo quindi del 2014 massimo 2015... un'era geologica fa, considerando l'età del soggetto.
Ho qualche difficoltà a credere che arriveranno ad apprezzare l'uno le passioni dell'altro, ma sono convinta che sia un esercizio meravigliosamente utile. Sarà interessante osservarne gli sviluppi.
Altra casa, altra situazione. Il coronavirus ha, dalle mie parti, costretto molte famiglie a una convivenza forzata in orari normalmente dedicati a scuola e lavoro. Coniugi e figli che, d'abitudine, vivono insieme "a intermittenza", da qualche settimana devono condividere spazi e connessioni internet, il tavolo della cucina che diventa ufficio mio prima di mezzogiorno e tuo dopo pranzo; ragazzi ai quali è stato vietato l'allenamento sul campo di calcio o le prove alla scuola di musica e che, senza scuola, non vedono più gli amici, oltre che i professori (dei quali, magari, fanno anche volentieri a meno!). Una mia amica mi raccontava di essersi stupita dai ritmi di lavoro di suo marito: una sequela ininterrotta di telefonate, di mail urgenti, di interventi da completare per un'ora fa. Ha anche avuto l'opportunità di contare quanti caffè lui beva mediamente ogni giorno: 8. Altro che gastrite!
Lui, d'altro canto, le ha domandato in un paio di occasioni come riesce a sopportare tutti i giorni il suo carico di lavoro da libera professionista unito il peso delle incombenze pratiche e delle conseguenze emotive derivanti dall'avere una figlia gravemente malata. A parole "conoscevano" l'uno le difficoltà dell'altra; adesso che le hanno viste le "capiscono".
Per me significherebbe, nel caso dell'esperimento dei miei figli, ascoltare musica ska, guardare film pieni di sbudellamenti o le partite di Champions, leggere libri di Valerio Massimo Manfredi o riviste di Vespe&Lambrette... Ne sono capace e l'ho fatto, ma... bleah... l'ho fatto più per sentirmi libera di criticare, non con un vero desiderio di comprensione, di "mettermi nelle sue scarpe". Io, che mentre scrivo ascolto De Andrè o Grieg, non riesco a capire come si possano apprezzare queste per più di dieci minuti. Ma ovviamente questo è solo un gioco.
Il punto, quello vero, è che senza esperienza diretta sembra impossibile capirsi.
Forse a questo servono i poeti.
17 marzo 2020
Cosa sarebbe dell'umanità senza la poesia?
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell'immensità
Alla fine, qualcuno conterà i morti.
Usciremo, e sarà caldo e ci sembrerà straordinario poter scegliere un tavolino al consueto bar e ordinare un caffè, respirando il profumo dei tigli.
Di questo tsunami resterà traccia nella nostra memoria, per sempre. Ma, come hanno detto tanti prima di me e, senza alcun dubbio, meglio di me, "lei" non se ne sarà accorta: settimane di silenzio interrotto solo dalle sirene delle ambulanze non avranno avuto nessun effetto sui suoi ritmi: farà caldo, i tigli saranno fioriti, la bassa marea del primo mattino invoglierà a fare una lunga nuotata. Mio figlio sostiene che l'umanità sia un danno per la natura e che meglio sarebbe per il mondo se noi, semplicemente, non esistessimo. Sarebbe vero se fossimo solo molecole.
Riempiamo i nostri giorni di grandezza, perchè non ci tocchi in sorte di dover riconoscere di aver sprecato il nostro tempo.
16 marzo 2020
Il punto di non ritorno
Eh già...
14 marzo 2020
Civiltà
Loro hanno supermercati vuoti: oggi mancavano pasta, farina, riso, carta igienica, fazzoletti di carta, latte a lunga conservazione, amuchina, candeggina e disinfettanti per le superfici domestiche e per il bucato, i nostri supermercati hanno tutto ciò che serve.
Noi cantiamo sul balcone, loro prevedono molti decessi fra le persone care.
Noi facciamo tutto il possibile per salvare il maggior numero possibile di persone, indipendentemente dall'età e dalla convenienza economica, loro ritardano la chiusura delle scuole perchè ogni mese di fermo causa una contrazione del pil del 3%.
Il loro Paese è ricco ma la loro gente è povera, di una povertà che fa tristezza: bambini ai quali viene offerta la colazione gratis a scuola, ragazzi con le ginocchia storte, scolari con pantaloni troppo corti, uniformi lise e scarpe sporche. Noi avremo un rapporto deficit/pil drammatico ma abbiamo dignità.
Loro hanno numeri e statistiche, noi abbiamo cuore e cervello.
11 marzo 2020
giochi di potere
Insegno come volontaria per un'associazione che si chiama, facciamo, "Bimbi Parliamo Italiano".
La BPI è costituita come associazione, secondo il diritto britannico. Ha un presidente, un tesoriere e un segretario; chiamiamoli Simona, Valentino e Samantha. Ci sono anche le maestre, 4, tutte volontarie. Conta inoltre una 50ina di bambini di età compresa fra 1 e 12 anni, con relativi genitori.
La BPI organizza un incontro al mese della durata di un paio d'ore: i piccoli giocano, i medi imparano canzoncine, mentre i grandi fanno un'oretta di lezione prima della merenda.
Riuscite a immaginare il peso economico e politico di questa cosa? Io sì: zero.
Nonostante la sua assoluta mancanza di importanza, alcune delle persone starnazzano come galline per spartirsi il microbico e inutile potere che deriva dall'essere titolari di una delle cariche. Perciò sono stata informata oggi di un incontro "a porte chiuse" tenuto da presidente, tesoriere e segretario su richiesta di questi ultimi due, incontro durante il quale sarebbero state sollevate obiezioni in merito al comportamento di alcune delle maestre che sarebbero state aggressive e irrispettose della "catena di comando" (sic) essendosi lamentate con il segretario per via freddo in un'occasione e in un'altra a causa della presenza di una bambina di 4 anni nel gruppo dei 5-6enni. Nel corso di questo incontro, il presidente, invece di dire alle due galline starnazzanti che di tali supposti problemi non intende occuparsi, ha detto "ghe pensi mi" e, congedate le postulanti, ha preso il telefono per redarguire la maestra che funge da "direttrice della didattica" (e che nulla c'entra con le lamentele) circa il fatto che "l'associazione non può rimanere senza segretario/tesoriere".
Lettura 1. Due delle maestre ritengono che questa manfrina sia una scusa per indurci ad andarcene, lasciando così campo libero alle galline di scegliersi le maestre che vogliono e indurle a rispettare la "catena di comando" alla quale, evidentemente, tanto tengono.
Lettura 2. Samantha o Valentino o tutti e due hanno grossi problemi personali e, come uno che sull'orlo di un divorzio rovinoso si lamenta del buco nel calzino, sfogano la loro frustrazione sulla BPI.
Lettura 3. Che sia vera la lettura 1 o la 3 o nessuna delle due, ma vi pare che io debba venire fino a Manchester per sopportare beghe in stile oratorio di paese, roba che neppure i dodicenni fanno???
08 marzo 2020
La colpa al tempo del coronavirus
30 gennaio 2020
L'amore quando è autunno
23 gennaio 2020
Scolliniamo
Ho bisogno di luce come dell'acqua fresca quando fa caldo, come del gorgogliare dell'acqua nei pluviali quando sgela, come del crepitare delle fiamme nella stufa quando a Ponte nevica.
Quando, a Settembre, ricomincia la routine invernale fatta di sveglie prima dell'alba, scuola, ufficio, lezioni... quello che mi infastidisce non è tanto la routine tout court, quanto la certezza che, entro poche settimane, il mondo sarà buio. Qui, dove in inverno il sole sorge alle 8 e tramonta alle 4, la mancanza di luce è un problema serio: i ragazzi tornano da scuola accendendo le torce del telefono!
Ma poi arrivano le vacanze di Natale, e con loro le consuete due settimane in Italia. Iniziano attorno al solstizio d'inverno e, al nostro rientro... sorpresa! L'allungamento delle giornate è sensibile, bastano due settimane perchè, dalla nostra partenza al rientro, il miracolo si compia: non più torce al rientro da scuola, questo regalo di luce porta quel briciolo di tepore che invoglia a spuntare i primi piccolissimi germogli e il sogno di giornate tiepide e lunghe si fa promessa.
15 gennaio 2020
Dilemmi
Ovviamente, ho immediatamente informato i miei genitori, che stavano aspettando la risposta. Altrettanto ovviamente l'ho detto alle persone che in un modo o nell'altro l'hanno aiutato (nessuno fa niente da solo). L'ho poi comunicato, con dovizia di particolari ;-), alle persone che mi avevano chiesto di essere tenute al corrente: un paio di amiche, un paio di cugine... E fin qui (quasi) tutto normale.
Ma da qui in poi arrivano i problemi: cosa fare con le persone che conoscevano la strada intrapresa da Tommy ma non avevano chiesto niente, neppure per cortesia? Quelle persone che, se glielo dico, si infastidiscono ma se non lo faccio poi "l'hai detto a tizio che l'ha detto a me e io non lo sapevo e ho fatto la figura di chi viene tenuto all'oscuro eccetera eccetera..."?
E non sto parlando di estranei, parlo ad esempio di mio fratello, nella famiglia del quale c'è chi fa costantemente confronti considerando però solo quello che pare a loro e non il quadro generale.
E' una bella notizia che mi fa piacere condividere, ma so che alcuni pensano che questo sia equivalente a vantarsi, come se il senso fosse "lui ce l'ha fatta e tu no, cicca cicca...", come se alla notizia dell'ammissione all'università della figlia della mia amica un anno prima della maturità io avessi reagito con invidia anzichè con gioia sincera... ma si può essere così meschini?
Anni fa raccontavo del colloquio col professore di matematica di mia figlia, colloquio ridicolo in certe esagerate espressioni di stima. Il commento del mio interlocutore è stato lapidario e glaciale: sì, abbiamo capito che tua figlia è un genio. E pensare che io stavo ridendo del prof! Come classificare certe reazioni? Fastidio? Invidia? "Che palle questa parla solo della scuola"? Non so darmi una risposta, certo che ha fatto male e per un po' ho smesso di condividere belle notizie. Non avendo notizie brutte (ringraziando il cielo!), ho smesso di condividere tout court. Ma, così facendo, i legami si allentano: già vivo lontana, sembra proprio di voler tagliare i ponti.
Insomma, apparentemente non c'è una strada sicura: non dir niente a nessuno ha conseguenze, dirlo ne ha altre, dirlo a qualcuno sì e ad altri no ne ha altre ancora...
Avete una ricetta?