22 luglio 2019

Parlami, non ti sento



Non ti sento sotto, ti sento tutto attorno, impenetrante come una tangente che si avvicina, mi sfiora e se ne va.
Tu parli, non mi parli. Dici le buone cose sensate che sai essere giuste, come un tubino nero nell'armadio e un golfino nel bagaglio per il mare, che non si sa mai. Ma io, con tappi di ovatta nelle orecchie, sento la tua voce che mi arriva, decodifico le parole, a volte le frasi, ma non ne comprendo il senso, come quando cammino per le strade di questo Paese e mi arrivano voci ma non significati.
Io parlo e tu senti ma non mi senti, non senti le mie emozioni sotto la tua epidermide; le mie parole sono solo onde sonore capaci, sì, di far vibrare i tuoi timpani ma non il tuo "recettore di emozioni" (esiste? come si chiama? un poeta lo chiamerebbe "cuore" o "anima"...) e così restano a galleggiare sopra il solito mare di spiegazioni razionali. Come spiegare il prurito da orticaria a chi non è mai stato punto neppure da una zanzara...


10 luglio 2019

Di scelte, passioni e campi estivi

Matilde sta partecipando a questo campo : un po' di avventure sul lago, un po' di conferenze su argomenti vari, un po' di crowdfounding per charities varie... un modo divertente, interessante e socialmente impegnato per intrattenere mandrie di sedicenni per 4 settimane dopo gli esami.
Fra le varie conferenze proposte dal NCS, una riguardava i criteri di "employability", nel dettaglio: quali caratteristiche personali le aziende valutano.
L'elenco è stringato: puntualità, capacità di lavorare in team, capacità di lavorare a lungo, capacità di focalizzare l'obiettivo, rispetto delle regole.
Stamattina, durante la colazione, Matilde, a ruota libera, mi raccontava l'episodio e commentava: nessun accenno, neppure di sfuggita, a cose come intelligenza, capacità di analisi critica delle situazioni, creatività, intraprendenza, curiosità e indipendenza. Vogliono degli ingranaggi, diceva, dei minions bravissimi a obbedire, ad abbassare la testa sulla scrivania e a produrre il pezzettino di risultato di loro competenza ma non abbastanza curiosi da chiedersi quale sia il disegno generale nè, tantomento, sufficientemente intelligenti da capirlo. Matilde ha capito che qualcosa non quadra.

Tommaso sta partecipando a una serie di attività nelle università. La scorsa settimama era a Cambridge, facoltà di fisica, per un seminario di 4 giorni : una sorta di induction alla vita universitaria e agli studi scientifici. Attenzione puntata sulla passione; la vita qui è tosta, raccontavano professori e studenti del 3 e 4 anno ai partecipanti: i ritmi serrati e aspettative alte. Solo chi ha vera passione per la materia (che sia fisica o filosofia o letteratura...) regge, ma, se siete sostenuti da vera passione, questo corso vi darà tutto. Passione è già meglio di puntualità e rispetto delle regole.

Questa settimana è alla Metropolitan Manchester University, una delle università minori (e abbiamo capito perchè!) della città, per una introduzione ai corsi di ingegneria. Non che gli freghi molto dell'ingegneria, ma è sempre meglio che andare a scuola, no? Attenzione puntata su quanto è figo fare l'ingegnere, quanto sia divertente la vita alla MMU, quanto alto sia lo stipendio medio di un ingegnere "...che se guadagnate tanto poi potete andare in pensione presto e godervi la vita". Ora, è senz'altro meglio guadagnare tanto che poco, solo i ricchi possono pontificare su quanto i soldi siano inutili. Ma davvero vogliono spingere l'intera coorte degli Y12 a perseguire carriere che non amano (ma tanto utili alla società...), propinando la favola del "poi da ricco sarai felice"? (poi, che un ingegnere diventi "ricco" è tutto da dimostrare...). Il messaggio della MMU assomiglia molto a quello del NCS di Matilde e anche Tommaso, anche se in modo meno lucido di sua sorella, ha espresso le medesime perplessità: davvero suggeriscono alla gente di non assecondare le loro passioni?

Se è vero che porsi la domanda giusta è spesso più importante che darsi una risposta, direi che questi campi hanno raggiunto lo scopo. Magari non il loro, il mio sì.


03 luglio 2019

Numeri

il peso e la statura
la taglia dei pantaloni e la misura del reggiseno
lo stipendio
il saldo di conto corrente
il voto di maturità e quello di laurea
l'età
l'età alla quale ci siamo laureati o sposati o abbiamo avuto il primo figlio... traguardi (?)
l'età della prima volta (troppo presto? troppo tardi? troppo medio?)
i metriquadri di casa
la distanza dal centro (in tutti i suoi possibili significati)
la cilindrata della macchina
quante macchine
quante case
quanti amici
da quanti anni siamo amici
quanto dura (capiscimi...)
quanti aperitivi
quanti viaggi all'anno

Numeri che ci definiscono o ai quali permettiamo di definirci, attribuendo loro un valore che assolutamente non hanno o permettendo che ad essi venga attribuito un valore che eccetera eccetera...





02 luglio 2019

Incipit

"...vorrei scrivere un libro che fosse solo un incipit,
che mantenesse per tutta la sua durata la potenzialità dell'inizio,
l'attesa ancora senza oggetto..."
(I. Calvino- Se una notte d'inverno un viaggiatore)


Mi piacciono gli inizi.








Ecco, la tentazione di finire il post così, avendolo appena iniziato, è fortissima!
Ma sarebbe quasi uno scherzo, perciò -coraggio!- andiamo avanti.

Ecco, in queste tre righe è racchiuso tutto: l'eccitazione dell'inizio, lo sconcerto della pagina bianca, la fatica del proseguimento. Manca solo la conclusione, ma questa manca sempre, giusto?

Sono sempre stata così. A scuola difficilmente arrivavo a consumare l'ultima pagina dei quaderni, li lasciavo sempre prima, incompiuti. Perchè? Non ho mai capito se prevalesse l'eccitazione per il nuovo quaderno, intonso e col dorso ancora un po' rigido, e per questo motivo tendessi ad anticiparne il piacere, oppure il terrore per il "troppo compiuto", come se quelle pagine bianche alla fine del vecchio quaderno lasciassero spazio al ripensamento.
All'università, dopo ogni esame, la sera stessa, cascasse il mondo, dovevo preparare sulla scrivania il materiale per l'esame successivo. Magari non avrei aperto il libro per quei due o tre giorni di (talvolta) meritato riposo fra un esame e l'altro, ma non importava: dovevo preparare tutto: i libri (già letti e sottolineati, ovvio, ma non ancora "s(t)ud(i)ati") il quaderno bianco, gli appunti, penne e matite... tutto l'ambaradan.
Tutti i corsi che ho seguito: le prime pagine degli appunti sono ordinate come libri stampati, poi...

E i libri, questi meritano una nota a parte. Aprire un libro e affondare il naso quando ancora sa di nuovo è una delle mie "madelaines"! Leggere le prime righe e vedere se la magia si verifica e, quando capita, lasciarsi avviluppare. Capita sempre più di rado, chissà perchè?

Una cosa mi è chiara, del motivo per il quale gli inizi sono così eccitanti e il proseguimento così faticoso: l'inizio apre, con le sue infinite possibilità, tutti i mondi immaginabili. Proseguendo, se ne sceglie uno, di mondo, e si escludono tutti gli altri: scrivere, ad esempio, più che raccontare una storia, nasconde tutte le altre. In definitiva, chiude.
Narra la leggenda che Michelangelo, a chi gli chiedeva come potesse essere così bravo a scolpire, rispondeva che è facile, basta togliere tutto il marmo superfluo. Come se l'essenza delle cose, sia essa una scultura, in libro, una teoria scientifica, fosse non tanto in quello che l'autore dice o mostra, ma in quello che sceglie di non dire, di non mostrare.
L'incipit, invece, non ha ancora scelto.