"...vorrei scrivere un libro che fosse solo un incipit,
che mantenesse per tutta la sua durata la potenzialità dell'inizio,
l'attesa ancora senza oggetto..."
(I. Calvino- Se una notte d'inverno un viaggiatore)
Mi piacciono gli inizi.
Ecco, la tentazione di finire il post così, avendolo appena iniziato, è fortissima!
Ma sarebbe quasi uno scherzo, perciò -coraggio!- andiamo avanti.
Ecco, in queste tre righe è racchiuso tutto: l'eccitazione dell'inizio, lo sconcerto della pagina bianca, la fatica del proseguimento. Manca solo la conclusione, ma questa manca sempre, giusto?
Sono sempre stata così. A scuola difficilmente arrivavo a consumare l'ultima pagina dei quaderni, li lasciavo sempre prima, incompiuti. Perchè? Non ho mai capito se prevalesse l'eccitazione per il nuovo quaderno, intonso e col dorso ancora un po' rigido, e per questo motivo tendessi ad anticiparne il piacere, oppure il terrore per il "troppo compiuto", come se quelle pagine bianche alla fine del vecchio quaderno lasciassero spazio al ripensamento.
All'università, dopo ogni esame, la sera stessa, cascasse il mondo, dovevo preparare sulla scrivania il materiale per l'esame successivo. Magari non avrei aperto il libro per quei due o tre giorni di (talvolta) meritato riposo fra un esame e l'altro, ma non importava: dovevo preparare tutto: i libri (già letti e sottolineati, ovvio, ma non ancora "s(t)ud(i)ati") il quaderno bianco, gli appunti, penne e matite... tutto l'ambaradan.
Tutti i corsi che ho seguito: le prime pagine degli appunti sono ordinate come libri stampati, poi...
E i libri, questi meritano una nota a parte. Aprire un libro e affondare il naso quando ancora sa di nuovo è una delle mie "madelaines"! Leggere le prime righe e vedere se la magia si verifica e, quando capita, lasciarsi avviluppare. Capita sempre più di rado, chissà perchè?
Una cosa mi è chiara, del motivo per il quale gli inizi sono così eccitanti e il proseguimento così faticoso: l'inizio apre, con le sue infinite possibilità, tutti i mondi immaginabili. Proseguendo, se ne sceglie uno, di mondo, e si escludono tutti gli altri: scrivere, ad esempio, più che raccontare una storia, nasconde tutte le altre. In definitiva, chiude.
Narra la leggenda che Michelangelo, a chi gli chiedeva come potesse essere così bravo a scolpire, rispondeva che è facile, basta togliere tutto il marmo superfluo. Come se l'essenza delle cose, sia essa una scultura, in libro, una teoria scientifica, fosse non tanto in quello che l'autore dice o mostra, ma in quello che sceglie di non dire, di non mostrare.
L'incipit, invece, non ha ancora scelto.
ecco, ho riflettuto.
RispondiEliminasì, trovo che siamo diverse.
tu vedi nell'incipit infinite possibilità, che un proseguimento / compimento di fatto esclude, avendo comportato una scelta.
io, invece, penso che un eterno incipit non sia che una falsa promessa, che di fatto non porta a nulla. laddove, invece, un proseguimento apra, di fatto, nuove infinite possibilità di cui è esso stesso un nuovo incipit.
rimanere inerti, nella contemplazione della indiscutibile bellezza degli inizi, non potrà generare nuova bellezza.
e questo, ai miei occhi, lo rende decisamente meno bello.
Credo che gli inizi siano belli per le loro infinite promesse (perchè false?), che i proseguimenti siano, in quanto conseguenze di scelte, l'esclusione delle infinite promesse meno una. Credo che un vero compimento non sia possibile, perchè, come dici giustamente tu, ogni proseguimento apre nuovi inizi. Non dico però che mi fermerei a una vita di inizi: finisco i corsi che inizio (a proposito: ho passato l'esame di inglese!), i libri che inizio, i post che inizio...
EliminaPer questo e per altro, non vedo differenze così profonde fra il tuo incipit e il mio.
"E' notte il primo attimo dopo mezzogiorno..." leggo sul tuo post; non è vero: è giorno nel pieno della sua gloria e, come dici tu, vale la pena di essere vissuto.
Ma forse mi sfugge qualcosa...
false, quando rimangono allo stadio di promesse... incompiute da una promessa, ,mi aspetto un esito. altrimenti resta un guscio vuoto.
RispondiEliminala notte dopo mezzogiorno non è un pensiero mio, riporto una citazione da una poesia. che, infatti, non mi sento di condividere.
forse sfugge qualcosa anche a me... ritenevo prediligessi gli inizi rispetto ai compimenti, così da mantenere la via di fuga delle ultime pagine... Ma mi sa che non ho capito. e temo di non aver capito michelangelo calato in questo argomento.
Sì sì, avevo capito che è una citazione che non condividi. Infatti, come dici tu, la parte che segue l'incipit va vissuta.
RispondiEliminaÈ il completamento, la fine che secondo me non esistono. È come il "E vissero felici e contenti" delle fiabe: in realtà è un altro inizio, non la fine. Hai detto tu anche questo, e io lo condivido.
Mi pare di capire che la differenza fra i nostri punti di vista sia nel fatto che a me piacciono le possibilità degli incipit, a te le concretezza degli svolgimenti.
Michelangelo: ha detto in un modo carino che è quello che togli che dà forma alla statua, così come uno scrittore, scegliendo una trama e perciò rifiutando tutte le altre, definisce la sua idea.
Cara Flo, spesso si inizia un post con tutto chiaro ciò che devi scrivere, ma poi qualcosa non va per il verso giusto e ti blocchi, con fatica riprendi ma con difficoltà non esce ciò che avevi pensato.
RispondiEliminaÈ meglio lasciar perdere e pensare al prossimo.
Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso