17 marzo 2023

Questione di pronomi

Una delle conseguenze dei miei numerosi trasferimenti è che il "noi" diventa troppo sovente un tristissimo "loro + io".

Loro, quelle che rimangono, continuano la vita di prima: si scambiano caffè e link alle notizie del giorno, condividono opinioni sulla penuria di cetrioli o l'ennesima coda alla barriera di Milano sud, chiedono e offrono consigli sul supermercato più fornito o il rinforzante per unghie più efficace. Loro.

Io, io che parto, cerco di fare dell'ennesima città nuova qualcosa di più di un bel posto da visitare. Casa, no, casa è impossibile: casa è dove le strade raccontano la mia storia. Magari una storia triste o in qualche modo negativa (altrimenti mica ci si allontana, no?) ma comunque mia. 

Non mi sto lamentando, è una scelta fatta ormai tanti anni fa (anche Strasburgo fa parte di questa collezione) e queste ne sono le conseguenze; non sono positive e non sono negative. Sono. 

Ieri un'amica mi diceva che mi invidia perché lei è sempre irrequieta io invece sembro contenta di quello che ho. Davvero? Invece io credo che questo bisogno di spostarmi, questa incapacità di fermarmi (ormai posso parlare di incapacità di fermarmi?), sia un chiaro segno di inquietudine. 

Mi sento molto vicina a Vianne Rocher, sapete, la protagonista di Chocolat... Così, per darmi un'aria letteraria

Abbiate pazienza, sono solo pensieri sparsi

16 marzo 2023

Chiamami con il mio nome



Un'amica pochi giorni fa raccontava di quanto la faccia soffrire l'idea di essere "guardata" senza essere "vista" e, altrove, di quanto il suo nome, oltre a identificarla, rappresenti la sua stessa essenza: significato oltre che significante.

E io, come vengo vista, io?

Io incarno la contraddizione, a partire dal mio nome: Floriana.

Quali immagini potranno mai richiamare alla mente queste 3 sillabe flautate, che partono da un soffio liquido, velocemente scivolano su un dittongo introdotto dalla più francese delle consonanti e planano con molle grazia sull'ultimo, quasi inaudibile, suono. Una libellula verde-blu che si posa su boccioli primaverili, farfalle danzanti nell'aria primaverile, campi di fiordalisi... Invece mio padre l'ha scelto pensando alla figlia di Ugo Foscolo, alla quale il vecchio e squattrinato poeta si è rivolto, dopo averla trascurata per tutta la sua (di lei) vita, per averne sostegno. Altro che libellule e farfalle... 

E poi un nome così moderno, così vuoto di significati, di storia... tutto sbagliato, non è "me".

Ho studiato ingegneria, e questo rimanda di me l'immagine di una persona pragmatica, intelligente, capace di analizzare i problemi e trovare la soluzione. Pochi fronzoli. Invece ogni scelta mi fa paura, sono la donna più indecisa del west... Sono un'idealista, amo perdermi in un tramonto, certi quadri mi commuovono alle lacrime, la musica (certa musica) mi scava voragini dentro, ho passioni d'altri tempi e i profumi... oh il profumo dei tigli in giugno... 

Ho anche lavorato come ingegnere: anni di cantiere e ho odiato ogni singolo giorno. Io unica donna in quel mondo pieno di uomini che mi trattavano "da donna": protettivi, paternalistici, "patronising" o al contrario aggressivi, come a voler sottolineare che lo erano al loro posto, non io. Che fastidio! Da qui l'esigenza di indurire il mio temperamento... quante menzogne! Non ho mai voluto essere quella speciale, quella che sovverte le regole, se ho lavorato il quel settore è stato essenzialmente per realizzare il sogno di mio padre: immaginate qualcosa di più femminilmente accondiscendente? Io da bambina volevo fare la ballerina, è questa la triste verità.

Vengo considerata una donna forte, indipendente, determinata, ma la verità è che sono timidissima; talvolta per entrare in un negozio devo ricordare a me stessa che le commesse non vedono me ma il mio portafogli! E non mi obbedisce neppure Alexa, tanto parlo sottovoce anche quando sono da sola in casa... e già, questa sono.

Ma chi vede questo?

Essere chiamati da qualcuno col nostro nome, essere riconosciuti in mezzo alla folla di volti estranei, riconosciuti per quello che siamo quando non indossiamo maschere di pirandelliana memoria: tenetevi stretto chi ha voglia di andare oltre. 


25 febbraio 2023

Cosa mi sto perdendo?

 I miei figli studiano lontano (l'avrò detto quelle tre o quattrocento volte, credo...) e vengono a casa, quando vengono, solo per le vacanze: Natale, Pasqua, estate. Là, vivono vite indipendenti: i prestiti del governo permettono loro di non dipendere poi tanto da noi, almeno nella gestione quotidiana, decidono senza sentirsi osservati (e quindi giudicati, immagino) se saltare una lezione, a che ora rientrare la sera o svegliarsi alla mattina, cosa mangiare (e bere...), chi frequentare.

Non li vedo quando sono tristi o stanchi o felici o si sentono soli, non so se le esperienze che stanno vivendo li rendano soddisfatti di loro stessi oppure si sentano soverchiati dalle mille cose da fare, dai mille stimoli... Devo fidarmi delle loro telefonate e accontentarmi di esserci quando loro hanno desiderio di parlarmi. Posso solo sperare che abbia ragione chi dice che se non chiamano è perché va tutto bene.

Speriamo.

Mi domando però se questa situazione non causerà un "allentamento" del nostro legame, se non li stia portando a considerarmi una persona della quale si può fare a meno. 

Soprattutto M, quando siamo insieme è come se non ci fosse familiarità. Non parlo di confidenze, parlo di confidenza, di quell'abitudine a fare cose insieme che è necessaria perché la condivisione non sia faticosa, non sia intenzionale, ecco.

Forse sono solo sciocchezze, forse è questo term che mi sembra straordinariamente lungo, però ci penso tanto...

23 febbraio 2023

Non ho tempo

 Correva l'anno 2011 e con lui correvo anch'io. La sacra triade lavoro-figli-famiglia non mi lasciava tregua, solo una irrinunciabile mezz'ora per un caffè al bar con le amiche di scuola (scuola dei figli, non mia) e un'altra per pranzo, in compagnia di (e talvolta in fuga con) una di queste. In un momento di ottimismo ho aperto il blog per non lasciarlo più. La scelta del titolo è stata spontanea, forse giusto un paio di minuti di esitazione per decidere se metterci o meno quel "mai" che compare nell'indirizzo, necessario escamotage dato che il "mio" titolo era già stato preso da una che ha pubblicato 4 ricette di cucina in croce per poi piantarlo lì (mai che arrivi prima, io, mai...).

Ora che non è più così ho pensato se non fosse il caso di cambiare titolo o magari aggiungere due righe come presa di coscienza. Ma poi ho riflettuto e ho capito che, se anche i miei ritmi di vita sono cambiati (non lavoro più, o quanto meno non lavoro più come prima, i bambini sono diventati giovani adulti e rientrano a casa solo per le vacanze, corro molto ma molto meno...), io non sono cambiata, sono sempre piena di cose da fare e, se non mi "capitano", me le costruisco: un corso di lingua (grazie Chiara), un ciclo di conferenze al museo, una zingarata da organizzare, un giretto in Italia a vedere amici parenti e genitori, le interminabili telefonate di Tommy...

Manca solo la palestra, ma a questa penserò lunedì

27 gennaio 2023

Di eroi e letteratura

 Ho appena finito di leggere questo:


A proposito degli eroi letterari, nella sua recensione al libro Pavese ci dice che 

A ventitré anni ltalo Calvino sa già che per raccontare non è necessario « creare i personaggi », bensì trasformare dei fatti in parole. Lo sa in un modo quasi allegro, scanzonato, monellesco. A lui le parole non fanno paura ma nemmeno gli fanno girare la testa: fin che hanno un senso, fin che servono a qualcosa le dice, le snocciola, le butta magari, come si buttano i rami sul fuoco, ma lo scopo è la fiamma, il calore, la pentola. Ormai di scrittori che puntino sui grossi personaggi come usava una volta, non ce n’è quasi più. Cambia il mondo. Poveretto chi è rimasto coi nonni. Ma poveraccio, disgraziato, chi dietro ai grossi personaggi «che facevano concorrenza allo stato civile» ha mollato anche i fatti, le cose di carne e di sangue, e brucia incensi di parole in non si sa che cappella privata. 

Credo che questo risponda a questa domanda qui

24 gennaio 2023

Di adorazioni e innamoramenti

 

A pagina 12 di questo

si legge che "il profondo turbamento (...) si manifesta quando ci rendiamo conto che l'adorazione occidentale di Dio -da parte di ebrei, cristiani e musulmani- è l'adorazione di un personaggio letterario, del Jahveh di J, seppur adulterato da pii rvisionisti". Prosegue poi raccontando come il Gesù dei cristiani sia un'invenzione letteraria dell'evangelista Marco così come nell'Allah dei musulmani si oda solo la voce potente del suo profeta Maometto.

La fede non è messa in discussione: la realtà delle cose non viene alterata da una brutta nè da una bella descrizione, e chi crede, crede. Ma la potenza evocativa della narrazione produce magie di portata straordinaria! Io, ad esempio, negli anni, mi sono innamorata prima di Actarus, il protagonista di Goldrake, crescendo di Sandokan, poi di Mr Darcy, e più recentemente di Atticus Finch... ecco, magari di quest'ultimo non mi sono innamorata, diciamo che nutro per lui una stima smisurata!

Libro promettente, vedremo il seguito...

18 gennaio 2023

I Miserabili


Sto leggendo "I Miserabili", sono quasi alla fine in effetti: persa nelle lunghissime descrizioni di epiche battaglie, seguendo il filo del suo pensiero sulla vita dei monelli di Parigi o la condizione femminile o l'eterna contraddizione fra legalità e giustizia, o fra Dio e fede e religione, le sommosse, le barricate, l'eroismo dei piccoli... 

In mezzo a tutto questo, mi sono chiesta quanto peso abbia avuto (e abbia tutt'ora) questo romanzo, e in generale questa letteratura, nella formazione di una identità nazionale francese. Si tratta di romanzi, non trattati di filosofia o politica, e quindi alla portata di un pubblico vasto, ancora straordinariamente efficaci perché ancora letti e studiati e portati nelle sale cinematografiche...

Questa domanda ha un ovvio corollario: noi italiani, quali romanzi possiamo indicare che abbiano avuto questo effetto fondativo di una coscienza nazionale? Viene spontaneo pensare al Risorgimento, ma cosa abbiamo? le Confessioni di un Italiano? Non saprei, pochissimo conosciuto. Il Gattopardo e I Viceré? Pessimisti, entrambi raccontano un Risorgimento di facciata, non possiamo leggerli e trarne orgoglio!  

Non i Promessi Sposi, che parla di altro. Il verismo? Straordinaria letteratura, ma regionale più che nazionale e anche per questo priva di questo effetto. Pirandello, Svevo? Più inclini a guardarsi dentro, a indagare l'impossibilità di giungere a una verità che probabilmente non esiste. Buzzati e la sua eterna attesa di qualcosa?

Forse dovremmo guardare a quanto scritto nel secondo dopoguerra, ma della guerra e della resistenza si descrivono le tragedie e la disperazione, talvolta certi atti di eroismo individuali, ma nessun movimento collettivo (parafrasando: "i resistenti sono tutti uguali di fronte alla storia ma alcuni sono più uguali di altri") al quale guardare con fierezza.

Magari mi sfugge qualcosa, ma così, su due piedi, chi può reggere il confronto con Valjean e Javert?

NOTA Questo è ciò che riesco a recuperare dai miei ricordi di letteratura, che risalgono al liceo, svariati decenni fa, quando la studiavo malvolentieri perché non mi piaceva e non ne capivo l'utilità (ah che meraviglia potersi dedicare a cose inutili e belle!): se qualcuno vorrà correggere marchiani errori o dimenticanze avrà tutta la mia gratitudine.