27 aprile 2020

poivorrei

Facile: poivorrei uscire, volare in Italia a riabbracciare i miei, mio fratello e le mie amiche, andare dal parrucchiere, al mare e anche un po' a Ponte di Legno, a cena al ristorante e a zonzo per Manchester. Eccetera. 
Ma così sono capaci tutti.
Invece poivorrei poter riguardare indietro a questi giorni strani e scoprire di essere stata paziente e concreta, capace di riempire questo tempo regalato di buone esperienze: un corso interessante, le tende pulite e profumate, un nuovo modo di fare lezione. Poivorrei poter pensare che questa esperienza (non voluta e fortunatamente passata) mi ha regalato nuove consapevolezze: che la mia famiglia mi basta, che le persone sono anche buone e ci si può contare, che un giardino e un pomeriggio di sole fanno la differenza.
Poivorrei anche che questa crisi diventasse vera opportunità di cambiamento nel mondo politico e finanziario Italiano in primis, ma anche europeo, che non sia solo una disgrazia subita e alla quale sopravvivere ma una vera occasione di svolta. Ma questa è pura utopia.

26 aprile 2020

Non è vita


Stamattina sono uscita.
Una passeggiata di un'oretta per prendere una boccata d'aria.
Il giro dell'isolato, cambiando marciapiede all'approssimarsi di altri coraggiosi, evitando i sentieri più stretti, stando attenti a non premere il bottone per il verde al semaforo, allontanandosi da un cucciolo che voleva giocare, salutando il collega spostandosi sul lato opposto del vialetto.
M'è passata la voglia.

21 aprile 2020

Ricordi di viaggio

1) La meta più bella: Berlino 
2) Il cibo migliore: la Sicilia
3) Il prossimo viaggio: molto a nord, a vedere l'aurora boreale 
4) Città italiana preferita: Milano 
5) Città europea preferita: Strasburgo
6) Il tuo ultimo viaggio: Edimburgo
7) Il posto dove torneresti domani: Ponte di Legno 
8) Il luogo dove vivresti oggi... bella domanda!
9) Il posto dove avresti voluto vivere da giovane: Parigi
10) "Prima o poi ci devo andare": Giappone
11) La meta dei tuoi sogni: Canada
12) Il popolo più accogliente: i dominicani 
13) Il popolo meno accogliente: difficile... i belgi, o forse i francesi...
14) Dove non torneresti: Bruxelles 
15) Il tramonto più bello: al mare,  quando, dopo il caldo e la confusione del giorno, le onde si calmano e l'aria diventa d'oro.

17 aprile 2020

Disclaimer



Io non sono una persona generosa.
Ammiro incondizionatamente quelle persone che, con semplicità, sono capaci di donare il loro ultimo barattolo di marmellata alla vicina di casa che deve fare una torta o due delle loro quattro preziose mascherine utili a limitare il rischio di contagio in questi giorni difficili oppure una bustina di lievito per fare il pane, rendendo meno pesante l'isolamento. Io invece penso sempre troppo: cosa vuoi che sia un barattolo di marmellata, magari si offende; cosa vuoi che se ne faccia di due mascherine chirurgiche che proteggono solo nei giorni pari di luna piena e se non tira vento; cosa vuoi che sia una bustina di lievito secco e poi abito lontano e non si può uscire dal comune...
Non è egoismo, è una cosa diversa: è la totale incapacità di capire che nessun aiuto è tanto piccolo da non essere il benvenuto: un barattolo di marmellata salva una torta, una bustina di lievito significa una pizza per 4, e due mascherine, anche se solo chirurgiche, possono ridurre l'ansia di una persona in difficoltà, anche se magari solo un po'...
Si dice che le persone meno ricche siano le più generose; forse dipende dal fatto che conoscono il valore di una tazzina di zucchero.
Nessuno di noi è perfetto, lo so. Ma ci sono forme di imperfezione peggiori di altre e questa è brutta.

15 aprile 2020

Senza titolo...

Oggi è mercoledì 15 aprile, venerdì saranno 5 settimane di isolamento, una delle quali volontaria mentre le altre decise dal governo. Cinque settimane durante le quali sono uscita una volta in auto per andare a cercare la farina, una in bicicletta per andare a fare la spesa e una, all'inizio, per fare il giro dell'isolato con Matilde. 
Se a Natale mi avessero chiesto di scommettere su sta cosa avrei puntato tutto e avrei perso.
La cosa più scioccante? Che mi è passata la voglia. Noi 4 in casa insieme, ognuno con i suoi impegni e senza desideri.
Questo è ciò che mi preoccupa davvero, la reazione dei ragazzi: anche loro sembrano non desiderare più niente.

13 aprile 2020

Meccanismi delicati


Più un organismo è complesso, più il suo corretto funzionamento dipende dall'equilibrio perfetto di un numero indefinito di fattori. 
Pochi milligrammi quotidiani di litio fanno la differenza fra un'accettabile salute mentale e l'incapacità di gestire se stessi nel quotidiano, l'assunzione di una compressa di aspirinetta (una frazione di quello che serve per abbassare la febbre) fa la differenza fra una vita normale e un decesso per infarto. 
In tempi non sospetti, riflettevo sulla propensione al rischio delle famiglie, anche questo è un meccanismo delicato. Io ho sempre amato poco vivere al limite e, per sentirmi sicura, ho sempre considerato desiderabile avere risparmi (non investimenti, proprio risparmi sul conto corrente) almeno pari a, che so, 4 o 5 stipendi. Metti che ti capiti la sfortuna di perdere il lavoro di punto in bianco, 4 o 5 mesi di agio ti permettono di cercarne uno nuovo, o se ti si rompe l'auto non sei disperatamente a piedi. Ci sono famiglie che hanno perennemente 400 € sul conto corrente e con quelli si sentono tranquilli.  
Nell'epoca del "just in time", la paura di restare senza pasta ha spinto la gente a svuotare gli scaffali dei supermercati e questi, ormai da decenni privi di un seppur minimo magazzino, hanno assistito rassegnati al triste spettacolo di vecchine disorientate perchè private della loro piccola scorta settimanale di PGTips e Digestive, o dell'infermiera che, alla fine di un turno di 12 ore, non ha potuto fare la spesa per cena. Immagini umilianti per uno dei Paesi del "primo mondo".
L'istituzione di fasce orarie riservate a Nhs e vecchietti ha, in parte, alleviato il problema, ma ne è immediatamente sorto un altro: la penuria di mascherine, camici usa e getta, guanti, consegnati agli ospedali in numero insufficiente, ha esposto a gravi rischi il personale sanitario che, in mancanza di meglio, ha cominciato a utilizzare sacchi della spazzatura sopra i camici e buste di plastica da ufficio davanti al volto. Questo non è triste: è indecoroso e umiliante.
Arriviamo poi alla chicca: il governo, nel tentativo di far dimenticare gli errori commessi (che non sono l'idea dell'immunità di gregge, mai davvero presa in considerazione da Mr Johnson, ma sono i tagli di posti letto, ad esempio, come in quasi tutti i Paesi europei) compra in fretta e furia svariati milioni di test sierologici -pare dalla Cina- e, quando arrivano, si accorge che non funzionano... Ma è mai possibile che un Paese come l'UK debba dipendere, per la gestione di una pandemia annunciata, da acquisti "emotivi"?
Sono disorientata, basta un niente e gli equilibri sui quali, inconsapevolmente, abbiamo fondato le nostre vite sfumano... 






10 aprile 2020

Spesa

Oggi giorno di spesa. Dall'inizio dell'isolamento, forse da qualche giorno prima,andare al supermercato è diventata un'esperienza bizzarra: "Chissà cosa non troverò oggi..."
La prima cosa a sparire è stata l'Amuchina, che qui non si chiama Amuchina, ma ci siamo capiti, e con lei tutta la serie di disinfettanti per mani-tessuti-superfici. L'alcol non si è mai trovato, la candeggina è scomparsa, la linea Dettol idem.
Immediatamente dopo, sono scomparsi articoli tipo la carta igienica, la pasta e il riso, il latte a lunga conservazione, i legumi in scatola.
Poi farine, tutte, e il lievito di birra da panificazione.
Ma il pane si trova, si è sempre trovato... perchè fare incetta di farine e lievito da panificazione?
Fino al giorno prima, impastare era cosa di fissati o, nel mio caso, da stereotipata massaia italiana. Il timore causato dal Covid e dall'isolamento ha creato il panico anche nel tradizionalmente composto britannico medio (che sia uno stereotipo anche questo?) che ha provveduto a fare scorte alimentari degne dello scoppio della guerra.
Non che sia molto diversa da una guerra, questa situazione!
La responsabile del "British Retail Consortium" la settimana scorsa ha comunicato ai quotidiani che le famiglie inglesi avevano in casa scorte alimentari per un miliardo di sterline... un miliardo!!!

La paura fa 90!
Oggi, dopo aver trovato tre bustine di lievito, ho chiamato le mie amiche per comunicare lo straordinario evento.
Già mi vedevo a offrirne una in cambio di un pacco di farina!!!

09 aprile 2020

Sull'identità dei migranti

Oggi pomeriggio ho seguito un webinar interessante sull'insegnamento dell'italiano a studenti debolmente scolarizzati. In Italia il problema riguarda essenzialmente i migranti e, fra i diversi problemi caratteristici di questi corsi, il relatore citava la loro "identità percepita", intendendo con questo la percezione che ognuno di noi ha della propria identità in contrapposizione con l'immagine che gli altri, di diversa provenienza, hanno di noi, non in quanto individui ma in quanto originari di un determinato Paese. Proponevano alcune attività utili per superare gli stereotipi che accompagnano l'incontro di culture diverse.
Questo mi ha fatto riflettere su un mio studente.
Si chiama L. G., ha circa 55 anni ed è un "immigrato" di IV generazione, essendo l'erede di un tale L. G.  arrivato a Manchester 134 anni fa, nel 1886.
Per me è stupefacente che lui si senta italiano.
Per lui è incomprensibile che i suoi lontanissimi parenti italiani, che ancora frequenta in estate, lo considerino inglese.
Non so, perchè non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo, se i suoi amici e conoscenti di qui lo considerino italiano o inglese, è questo un tassello che mi manca.
Ho già avuto modo di riflettere su questo aspetto, su fatto cioè che l'identità percepita da un emigrante non coincida affatto con ciò che "vedono" i compaesani rimasti nel Paese d'origine: ancora in tempi non sospetti, quando Real Time mi offriva occasioni di relax durante la pausa caffè pomeridiana, Buddy il re delle torte parlava di se stesso come di un italiano vero, mentre cucinava improbabili paste molto american-style e trattava le sue sorelle come nessun fratello avrebbe mai osato neppure nell'entroterra siciliano anni '50: aveva appreso modelli di comportamento (e ricette di cucina) che credeva italiani ma non lo erano. Oppure quando, subito dopo la maturità, conobbi la cugina nata nella Svizzera tedesca di una mia compagna di liceo. Questa cugina aveva imparato a parlare "italiano" da una nonna che in realtà parlava solo un dialetto marchigiano stretto... si è scontrata in quell'occasione con la realtà: la sua presunta identità italiana era una cosa falsa, come le paste di Buddy e il senso di appartenenza di L. G. O ancora, ai tempi del Poli conobbi il figlio di un diplomatico che si era trasferito a Milano da poco, avendo vissuto in una mezza dozzina di Paesi e avendo studiato, negli anni tra la fine delle superiori e l'inizio dell'università, in Spagna. Parlava un italiano che sarebbe stato considerato buono se lui fosse stato spagnolo. E parlava uno spagnolo di buon livello per uno straniero ma non per un madrelingua. Parlava un eccellente inglese ma, non avendo genitori inglesi, non la considerava una "sua" lingua. "Io non ho un madrelingua" mi diceva. Io lo consideravo un falso problema e, anzi, capra come sono con le lingue, un po' lo invidiavo. Adesso capisco che il suo non era un problema di lingua, era un problema di identità: spagnolo in Italia, italiano in Spagna, a casa in nessun luogo.

Non è una riflessione che porta a conclusioni, non ne ho la pretesa: per chi lo vive è un problema complesso.
A me basterebbe capire come aiutare L.G. a superare la sua paura di commettere errori e, finalmente, parlare italiano.

Senza titolo

Oggi, per la prima volta dall'inizio dell'isolamento mi sono svegliata pensando che mi aspettava un'altra giornata chiusa in casa. 
Oggi ho messo via il telefono perché stanca di leggere cattive notizie.
Oggi, parlando con mia madre mi sono resa conto che faccio sempre più fatica a trattenermi dal dirle che tutto quello che devono fare è sopravvivere, perché io questa estate voglio poterli riabbracciare e che se questo significa annoiarsi, che si annoino pure, a me non interessa.

02 aprile 2020

18


Oggi però è un giorno importante per ben altre ragioni: Tommaso compie 18 anni!
Da oggi può entrare in un pub e ordinare una birra, guidare, votare.
Non farà niente di tutto questo, oggi, e io sono così scombussolata da non riuscire a scrivere niente di più significativo di un banale Buon Compleanno!

Il salto di specie



Con "salto di specie" si pensa ormai al coronavirus, che, balzellon balzelloni, è trasmigrato dal pipistrello all'umanità. Ma questo evento mi ha indotta a pensare a quanti "salti di specie" facciamo nel corso della nostra vita, solo a volte segnati da tragedie.
Diventare genitori, ad esempio, sposarsi o divorziare, lavorare o perdere il lavoro... ogni cambiamento di condizione ci obbliga a cambiare l'idea che abbiamo di noi stessi e il suggerimento di comune buonsenso -tu non sei il tuo lavoro, non sei i tuoi figli o il tuo ex marito, tu sei altro- in realtà si scontra con l'evidenza del cambiamento dello sguardo del mondo su di noi. Sguardo che ci descrive molto più di quanto vogliamo ammettere.
Ora, cosa resta di noi quando "saltiamo"? Le diverse specie si stratificano e lasciano intravedere in trasparenza cosa c'è sotto, cosa c'era prima? Oppure noi crediamo di essere sempre noi, sempre uguali e invece la nuova natura sostituisce la vecchia?
Ovviamente non lo so: se lo sapessi non starei scrivendo...
Anche questa novità dell'isolamento causa un "salto di specie": da persona desiderosa di una vita fuori casa e indipendente dalla mia famiglia, mi sto trasformando in una persona spaventata dal mondo oltre la porta di casa. Non tutte le mie passate "specie" mi sono piaciute, alcune erano proprio fastidiose, ma sapevo che sarebbero passate. O meglio: confidavo nel fatto che, se mi fossi data da fare, avrei potuto sperare di saltare di nuovo. Stavolta, per la prima volta, la fiducia lascia spazio a un senso di incredulo, rassegnato stupore.