La mia amica ha subito un lutto e questo, chissà perché più di altri, mi induce pensare a quando toccherà a me.
Mio padre, pericolosamente vicino ai novanta, si rammarica di non essere più un giovanotto (e il vocabolo lo conferma: chi, se non un quasi-novantenne, usa più definirsi "giovanotto"?), sopporta i suoi comprensibilissimi acciacchi molto meglio di quanto voglia farci credere, vorrebbe che fossimo tutti attorno a lui ad ascoltare le sue eterne lamentele: e faccio fatica a camminare, e non digerisco più niente, e dormo male, e devo controllare i reni e l'aneurisma e il cuore e intanto va a tagliare l'erba in giardino o insiste per venire a prendermi all'aeroporto perché non può tollerare una evitabile ulteriore ora di attesa.
Mia mamma invecchia rapidamente, dimagrisce a vista d'occhio, fa fatica a camminare per un problema al ginocchio che ha trascurato per anni e che adesso le presenta il conto, non si è mai ripresa completamente da un banale intervento di cataratta che le ha lasciato strascichi che rendono faticosa la lettura; pezzi di vita, per ora non importanti, volano via con la sua memoria ormai indebolita. Sente la mia mancanza e io, che quando torno a casa vorrei rivedere mia madre e invece trovo una persona fragile, quando sono con lei non riesco a essere né a renderla serena. Vorrei "aggiustarla", ma non si può e non mi rassegno.
E intanto non ho parole per dire alla mia amica quanto io senta la sua perdita perché non so come sia questa perdita, non so cosa si provi a vedere spegnersi chi ci ha donato la vita, chi ci ha accompagnato per decenni con quotidiana sollecitudine, apprensione qualche volta, indefettibile amore.