25 marzo 2022

Il danno scolastico

Prendendo spunto da questo post di Andrea, ho letto il libro. Meglio: i due libri dentro un’unica copertina: quello della Mastracola (aneddotico, leggerino, con qualche errore -deliberato?_ interpretativo qua e là…) e quello di Ricolfi (analitico e interessante).

Dico subito che, pur non avendo né l’esperienza di lei né l’accesso ai dati e la capacita di analisi di lui, la consapevolezza che una scuola mediocre penalizza le classi intellettualmente meno preparate (non ricche: intellettualmente preparate) è da tanto tempo una delle mie più profonde convinzioni: ritengo che la scuola debba essere lunga, lenta e ambiziosa. Che debba insegnare a ragionare e non a ripetere a pappagallo contenuti -ma che senza contenuti sia impossibile ragionare. Che debba tornare a poche materie di base fatte benissimo (grammatica, matematica, latino, filosofia, imparare a leggere e capire un testo letterario o scientifico, imparare a scrivere un testo letterario o critico o speculativo, arte e musica ma quelle belle, non pifferi e lavoretti coi fili di lana…), perché per il coding e la redazione di business plan c’è tempo. Che debba lasciare spazio, tantissimo spazio, alla curiosità a alla creatività perché queste sono alla base di ogni sincero desiderio di imparare. Sarebbe sufficiente a scongiurare la catastrofe cognitiva della quale parla Ricolfi?


La ragione per la quale una scuola modesta penalizza le classi meno colte è presto detto: chi avverte i limiti della scuola può sopperire in casa; chi non li capisce, perché non ne ha gli strumenti intellettuali o perché non interessato o perché con la testa piena di preconcetti, non può far niente. Non è la ricchezza la discriminante: in un Paese pieno di musei, arte e biblioteche, la povertà non è quasi mai un limite e la povertà intellettuale non ha scusanti. Questo è il primo errore della Mastracola: lei paragona la sua condizione a quella dei ragazzi di Don Milani, un errore marchiano. Lei, figlia di un ambizioso piccolo borghese (diciamo pure piccolissimo…) che, pur al di fuori dei tempi canonici, riesce a diplomarsi, cresce in un ambiente stimolante, nel quale la cultura e il titolo di studio hanno un valore, e la ricchezza culturale, non importa se modesta, è un obiettivo al quale tendere. I ragazzi di Don Milani, passano dall’aula alla campagna dove pascolano le pecore, arrivano a scuola solo perché i loro genitori devono assolvere un obbligo legale, parlando solo dialetto e, molti di loro, senza aver mai tenuto una matita in mano. La differenza è eclatante e non vederla, temo, intenzionale.


[Inserisco qui una seconda critica all’opinione diffusa sulla Lettera a una Professoressa. È vero che la prima proposta del gruppo di Barbiana riguarda il divieto di bocciare ma, accanto a questo, propone una scuola lunga (tutto il giorno, tutto l’anno) perché colmare il divario fra Pierino e Gianni richiede tempo. Propone anche una sorta di vita monacale per gli insegnanti perché il loro lavoro richiede una dedizione totale, che mal si concilia con gli impegni famigliari, ma Don Milani è un prete e forse non si rende conto di cosa dice! Il terzo punto, interessante ma poco approfondito, riguarda il “fine” della scuola. Nel suo libretto, individua come scopo della scuola la capacità di “intendere gli altri e farsi intendere”, da cui lo studio delle lingue. Meriterebbe una discussione a parte.

Una proposta articolata in 3 punti dei quali la politica e, temo, la scuola hanno considerato solo il primo: non bocciare. Da questo “malinteso” (le virgolette perché non penso che sia un malinteso) discende gran parte del disastro educativo di cui parlano Mastracola e Ricolfi.]


Nel mio piccolo, ho visto ragazzini di prima media incapaci di disegnare, su un piano cartesiano, righe parallele verticali un quadretto sì e uno no, in prima liceo non sapere come funzionano le sottrazioni col prestito (che significa non aver capito una cippalippa della struttura decimoposizionale nel numero), sedicenni non essere capaci di calcolare un ottavo di due noni. Non sanno scrivere sulle righe; io, italiana, devo fare loro lo spelling di parole come Pythagoras o hexagon… ma questa aneddotica non descrive accuratamente la situazione, che è drammatica. 

Leggevo i risultati di una ricerca sullo svantaggio dei bambini provenienti da famiglie disagiate in UK. [piccola nota. Esistono qui due tipo di “disagio”: il primo di natura solo economica: al di sotto di determinate condizioni economiche, i bambini hanno diritto ai pasti gratuiti a scuola. La seconda categoria prende in considerazione bambini che hanno avuto diritto ai pasti gratuiti e che ora hanno superato la soglia, ma anche, ad esempio, bambini in affido, recentemente adottati, chi è rientrato nella famiglia d’origine dopo un affido temporaneo e altre situazioni che possono avere influenza sul rendimento scolastico]. Ebbene, questi bambini arrivano agli esami della nostra 5^ elementare avendo accumulato un anno di ritardo nella preparazione, cioè hanno a 11 anni la preparazione che ci si aspetta da bambini di 10 anni. Cinque anni dopo, agli esami di fine obbligo scolastico (si chiamano GCSE e si fanno dopo la nostra 2^ liceo), lo svantaggio accumulato raddoppia: affrontano esami che hanno influenza su tutta la vita professionale con la preparazione di bambini di terza media. Le conseguenze sono drammatiche. La conclusione del paper è lapidaria: la scuola non solo non è in grado di colmare il gap, ma lo peggiora.

Quali sono a mio avviso i difetti di questa scuola? Il primo: non si boccia. Il secondo: classi enormi (insegnate voi matematica a gruppi di 30 adolescenti stipati in aule progettate per 20). Il terzo: niente orali. Il quarto: niente libri di testo. Ce ne sono altri (uniformi, igiene…), ma mi fermo qui. Questo riguarda la scuola in UK e solo la scuola dell'obbligo: il secondo biennio di scuola superiore ha un'organizzazione tale da raggiungere mediamente livelli di preparazione altissimi, ,ma questo è un discorso diverso.

In Italia la situazione è migliore, ma temo non di molto. 


Ho prestato il volume a una mia amica che si occupa di educazione da 30 anni. Sono curiosa di sapere cosa ne pensa!

4 commenti:

  1. Post molto interessante. Mi ha colpito la descrizione della differenza che c'è in UK tra la scuola dell'obbligo e il biennio superiore, pessima la prima ed eccellente il secondo, se ho capito bene. Mi chiedo quali sforzi debba fare quast'ultimo per colmare le lacune di chi arriva dalla scuola dell'obbligo.
    Qui in Italia si salvano le scuole elementari, poi comincia il declino. In un congresso a Venezia di alcuni anni fa si evidenziava come le scuole elementari italiane fossero al sesto posto nel mondo per qualità ed efficienza, mentre la prima università italiana era 187° posto. Un quadro abbastanza sconfortante, purtroppo.
    Chissà cosa dirà la tua amica del libro...

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    1. Nessuno sforzo per colmare lacune: scartano ferocemente chi non è all'altezza.
      La sufficienza ai GCSE è 4, al biennio accede chi ha almeno 6, in alcune scuole addirittura 7, nelle materie di studio. Se il 4 inglese è uguale al 6 italiano (la sufficienza) si evince che certe scuole ammettono solo chi ha preso 9 agli esami. Un paradiso per gli insegnanti!

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    2. Aggiungo un necessario chiarimento. La scuola secondaria inglese non è affatto pessima, permette anzi ai ragazzi studiosi e ambiziosi di raggiungere risultati ottimi. Ma con ragazzi studiosi e ambiziosi tutte le scuole vanno bene. Difficile invece far cambiare rotta a chi ha lacune e manca di chiari obiettivi per il futuro. È in questo che la secondary inglese è carente.

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