E poi ci siamo noi, che siamo contemporaneamente troppo giovani per sapere qualcosa della vita e troppo vecchi per avere un qualsivoglia legame con la contemporaneità.
Quelli che quando parlano è sempre sbagliato, che sia coi genitori, coi figli e talvolta anche coi coetanei, fratelli o amiche che siano. "Non è così" è il commento che mi sento rivolgere più frequentemente, talvolta mitigato da un "proprio" messo lì per decenza.
Quelli che devono capire le difficoltà della terza età (dicamo pure quarta, dai...) e quelle dell'adolescenza che fa niente se hanno abbondantemente superato i 20, sempre da adolescenti si comportano. E ci mancherebbe: vivono vite costellate di prime volte, come vuoi che si comportino?!
Quelli che ascoltano le lamentele di tutti: salute e solitudine e amici insensibili e morosi/e dal comportamento inspiegabile e impegni di lavoro e di faccende domestiche, e conti da far quadrare e la fatica, la fatica...
E noi invisibili, schiacciati fra un "tu sei troppo giovane per capire", un "tu sei troppo vecchia per capire" e a volte "tu sei troppo fortunata per capire".
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